Esercizi spirituali 2025: “Sora nostra morte corporale”.
Con grande partecipazione si sono tenuti sulle colline di Bedonia (Parma), gli annuali esercizi spirituali della Delegazione per l’Emilia Occidentale, dal tema “Sora nostra morte corporale”. Mons. Claudio Arletti, incardinato nella Arcidiocesi di Modena-Nonantola, ha accettato di guidarci lungo il tortuoso percorso di una riflessione così impegnativa. Inutile negare quanto la nostra natura si opponga alla finitudine mortale e quanto ci troviamo lontani, spesso anche come credenti, dallo spirito con cui San Francesco si avvicinava all’ora ultima dell’esistenza.
Cos’è che sconcerta così tanto nella morte al punto che preferiamo evitarne il pensiero, come se questo togliesse peso a un inevitabile destino? Eppure la paura della morte, che attanaglia ognuno di noi, è alla radice di tutte le altre. Per questo cerchiamo di rimuoverla, con il risultato che è proprio lei ad abitare le nostre vite come un’angoscia latente di cui non sappiamo decifrare i connotati. Questa è la forza tragica della morte: coglie la singolarità, chiama per nome. Davanti a questa realtà la civiltà occidentale è impreparata a darle una “collocazione” sociale e per questo non rimane che la rimozione, se non, di fatto, la negazione.
La morte, dunque, è azzeramento dell’identità dell’uomo come fondamento di senso delle sue azioni vitali. Il senso troverà il suo compimento solo in una lettura dove vita e morte fanno parte dello stesso disegno, in un contesto temporale senza confini. Un senso che troverà significato ed espressione dopo la morte del corpo, in una dimensione immateriale, sotto altra forma e stato. La morte, se vista ritagliata come segmento, è invece la negazione di questa totalità di senso. Umanesimo, spiritualità e scienza sono discipline sempre più connesse, al punto da formare un’unica spirale.
Don Claudio, con ampi riferimenti alla filosofia e alla storia dell’arte, ci ha condotto attraverso un serrato confronto “in salita”, sovrapponendo il percorso spirituale alla cultura contemporanea. Anche Gesù ha temuto la morte, e affronta in solitudine e consapevolezza la paura del suo destino. Un destino che accomuna l’uomo in un misterioso contraddittorio fra vita e morte. Nel Cristo del Getsemani, in lotta con l’angoscia, ritroviamo i nostri stessi tormenti, l’oppressione, l’inquietudine, l’affanno dell’impotenza umana ad affrontare questa sorte inesorabile e umanamente incomprensibile. Nessuno come nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, ha vissuto il dramma della paura e della propria morte, senza sconti, senza facili consolazioni. Nessuno come il Risorto è risposta alle angosce e alle più intime speranze dell’uomo.